Curiosità

Testimonianze della grandezza di Agata

Secondo la tradizione, un anno dopo il martirio, l’Etna iniziò ad eruttare, mettendo così in pericolo la vita dei Catanesi. Questi, cristiani e non, accorsero al sepolcro della martire, presero il velo con cui era coperto il corpo e lo portarono incontro alla lava. Era il quinto giorno di febbraio, giorno dall’anniversario della morte di Agata, quando, si racconta, l’eruzione si arrestò.
Da quel giorno, ogniqualvolta la città di Catania o i suoi territori vengono minacciati dalle lave dell’Etna, è consuetudine portare in processione il velo miracoloso.
LE TESTIMONIANZE
Una delle prime testimonianze di questa usanza si trova nel Manoscritto 173 custodito nella Biblioteca capitolare dell’Archivio diocesano tridentino: si tratta di un codice membranaceo, databile alla seconda metà del secolo XV; in esso il testo della vita occupa quattro fogli, dei quali ciascun lato è diviso in due colonne. Nel foglio 101 (recto, nella colonna destra) si legge:
post anni circulum circa diem natalis eius, mons quidam excelsus iuxta civitatem eructavit incendium et, quasi fluvius torrens, ita ignis vehemens et saxa terramque liquefaciens. Cum magno impetu veniebat ad cathenentium civitatem. Tunc paganorum multitudo, fugiens, de monte descendit et venerunt ad sepulchrum eius et, auferentes velum unde erat coopertum sepulchrum eius, statuerunt eum contra ignem venientem et ipsa hora stetit ignis.»
dopo un anno, attorno al giorno del suo natale, un monte elevato vicino alla città eruttò (fuoco) e, come un fiume ardente, il fuoco (era) così impetuoso che i sassi e la terra si liquefacevano. Con grande impeto scorreva verso la città di Catania. Allora la folla di pagani, fuggendo, discese dal monte e giunsero al suo sepolcro e togliendo via il velo, dal quale era stato coperto il suo sepolcro, lo innalzarono contro il fuoco che arrivava e, nello stesso istante, il fuoco si fermò.» (testo e traduzione dalla già citata tesi di Anna D’Ambrosio – Università di Trento)
MANOSCRITTO TRENTO
Tra gli autori del passato che ci hanno lasciato testimonianze sui prodigi del Sacro Velo, ricordiamo il domenicano Tomaso Fazello (da Sciacca) nel De rebus Siculis decades duae, la cui prima edizione risale al 1558; Antonio Filoteo degli Omodei (studioso nato a Castiglione di Sicilia) nella sua opera Aetnæ Topographia Incendiorumque Ætnæorum Historia del 1591; Don Pietro Carrera (nato a Militello in Val di Noto il 12 luglio 1573 e morto a Messina nel 1647), nel celebre Il Mongibello descritto da Don Pietro Carrera in tre libri, opera pubblicata nel 1636 nella quale numerosi sono i riferimenti agli altri due autori prima citati.
Come già detto, la prima volta che i catanesi si rivolsero alla Martire fu in occasione della prima eruzione etnea avvenuta dopo la morte della Santa. Lo racconta Fazello, che però, in modo poco chiaro, fa riferimento al secondo anno successivo alla morte della Santa (e non al primo) e all’anno 254, e non al 252! [per comodità di comprensione usiamo l’edizione del 1830, tradotta in lingua italiana da Remigio Fiorentino]: «Diventò illustrissima la nostra città di Catania per la sepoltura dii sant’Agata vergine e martire, la quale per la fede in Cristo fu martirizzata da Quinziano. […] e nell’anno di nostra salute 254, il primo di febbraio, il che fu il secondo anno dopo la morte di Sant’Agata, gittando l’Etna molte gran palle di fuoco, i
Catanesi […] apersero il suo sepolcro e pigliato il velo col quale era coperto il suo corpo, lo portarono contra le fiamme del monte. Il che fatto (ch’è cosa maravigliosa), subito il fuoco mancò e come s’egli avesse avuto paura di quel velo, lasciando la città di Catania, si rivolse in altra parte.»
Brano tratto da Il Mongibello descritto da Don Pietro Carrera in tre libri – 1636 – pag. 109
Da quella volta, in ogni altra occasione in cui l’Etna con le sue colate laviche abbia minacciato la città di Catania, o i suoi territori, il Sacro Velo è stata l’arma vincente della cittadinanza: seguendo la traccia delle descrizioni fatte dal Carrera troviamo nuovamente il Velo eseguire prodigi nel corso dell’eruzione del 1329 che generò il cono di Monte Rosso vicino all’abitato di Fleri, a 550 m di quota.
Brano tratto da Il Mongibello descritto da Don Pietro Carrera in tre libri – 1636 – pag.111
Poi nell’eruzione del 1408 (descritta dal Silvaggio e che apportò notevoli danni ad una parte del paese di Pedara) nuovamente le reliquie della Santa ed il Velo vennero portate contro la lava.
Brano tratto da Il Mongibello descritto da Don Pietro Carrera in tre libri – 1636 – pag.112
Per l’eruzione del 1444 (i cui prodotti sono stati completamente sepolti dalle colate dei secoli successivi che hanno interessato il medesimo versante dell’Etna) il Carrera cita espressamente quanto appreso dagli scrittori Fazello e Filoteo.
Brano tratto da Il Mongibello descritto da Don Pietro Carrera in tre libri – 1636 – pag.113
Don Pietro scrive ancora della distruzione del Monastero di Santa Maria di Licodia nel 1446, citando Matteo Silvaggio, e di un ffuoco nell’anno 1447, domato per i meriti di Agata.
Brano tratto da Il Mongibello descritto da Don Pietro Carrera in tre libri – 1636 – pag.117
In occasione dell’eruzione del 1536, Il 26 marzo, «[…] Mongibello roppe [sic] nel mõte [monte n.d.A.], ch’è chiamato Mãfrè [Manfrè n.d.A.], & anco nell’altro monte da alcuni detto Vituri, e da altri Risono, sichè trà l’uno, e l’altro fur fatte dodici aperture, che tutte gittavan fuoco. I Catanesi vi andarono in processione col sacro Velo della gloriosa Sant’Agatha, e vi fu grãdissimo concorso d’huomini, e donne scalze, di fanciulletti ignudi, e di verginelle scapigliate».
Brano tratto da Il Mongibello descritto da Don Pietro Carrera in tre libri – 1636 – pag.123
Nuovamente, l’anno successivo (il 1537), sempre a marzo, l’Etna si fece minaccioso; è ancora una volta il versante meridionale della montagna ad essere in pericolo, e di nuovo Mompileri assiste al prologo di qualcosa di analogo a quanto avverrà anche 132 anni dopo, nel ben noto e triste marzo del 1669:
Dell’eruzione del 1634 abbiamo ampiamente trattato, descrivendo una lettera ed un’illustrazione (o meglio, come indicato dalla BnF (Bibliothèque nationale de France), «dessin colorié représentant l’Etna et ses environs») che si trovano nella raccolta di manoscritti Melanges historiques et littéraires, volume costituito nel 1637 ed oggi di pubblico dominio. In questo documento, custodito nel Département des manuscrits, il religioso Antoine Léal fa un reportage dell’eruzione da lui osservata in prima persona.
«Il Sacerdote Torrisi compartendo le bãderuole [banderuole n.d.A.] per quei luoghi replicava più volte l’Antifona Paganorum multitudo, pregando il Signore, che per intercessione della Santa lo liberasse dal danno di quel suo podere, e ne fu prontamente esaudito, perciochè il fuoco passato avanti dall’uno, e
dall’altro fiãco [fianco n.d.A.] della vigna lasciandogliela illesa nõ [non n.d.A.] osò di acccostarvi, e qui poscia fù terminato il suo corso ».
Mi sento in dovere di dar conto di cosa fossero le “banderuole” “compartite” dal Sacerdote Torrisi e cosa fosse l’Antifona Paganorum multitudo: sempre secondo la narrazione di Carrera, il Sacerdote Don Paolo Torrisi – che viene definito uno dei «Beneficiati della Cathedrale» – temendo la distruzione della propria vigna si ingegnò di utilizzare il drappo di terzanello [tipo di drappo di seta leggero e di scarsa qualità, n.d.A.] nel quale era stato avvolto il Sacro Velo, suddividendolo in striscioline (le cosiddette banderuole). Fatto ciò, utilizzando anche del cotone “benedetto” (che era stato posto a contatto con le reliquie) le dispose tutto intorno alla vigna, garantendo così la protezione contro l’invasione lavica.
Da Klosterneuburg, Augustiner-Chorherrenstift – Bibliothek
Contemporaneamente cantava ripetutamente l’Antifona Paganorum multitudo: l’antifona (dal greco ἀντίϕωνα) è un breve canto che nella liturgia cristiana è intonato prima dei salmi. È consuetudine riferirsi ad un’antifona identificandola dalle prime parole contenute nel testo; così, l’antifona Paganorum multitudo è detta tale in quanto il suo testo recita «paganorum multitudo fugiens ad sepulcrum Virginis tulerunt velum ejus contra ignem: ut comprobaret Dominus quod a periculis incendii meritis Agathae Martyris suae eos liberaret». Penso sia superfluo tradurre il testo latino, essendo alquanto intuitivo il suo significato.
L’eruzione del 1635, della quale il Carrera fu testimone oculare, è quella descritta con maggiori dettagli, quasi fosse un diario quotidiano. Infatti, soltanto l’anno dopo, nel 1636, fu pubblicata a Catania la sua opera già citata: un intero capitolo del terzo libro, il quarto, ha per titolo “Della Processione del sacro Velo di S. Agatha, e de’ miracolosi effetti di quello”.
La narrazione del Carrera comincia a pagina 136 e tratta delle colate laviche che minacciavano da vicino i paesi di «Trecastagne & della Viagrande», mentre un altro ramo si dirigeva verso «le possessioni della Pedara». Era necessario l’intervento del Velo miracoloso. La descrizione delle processioni va avanti con dovizia di particolari per una diecina di pagine, fino alla notizia «[…] che i capi de’ fuochi s’eran tutti affatto ritirati; onde con universal giubilo à grã [gran, n.d.A.] voci fù ringraziata da noi l’immẽsa [immensa, n.d.A.] bontà divina, alla quale era piaciuto di far cessare l’incendio ad intercessione della sua vincitrice Martire Sant’Agatha».
Poi arrivò il 1669 e – a marzo, ancora una volta all’inizio della primavera – scoppiò la grande eruzione.
Athanasius Kircher, autore germanico di cui abbiamo già trattato (ilVulcanico), nel capitolo Chronicon Incendiorum Ætnae della famosissima opera Mundus Subterraneus (edizione pubblicata ad Amsterdam nel 1678) a partire dalla pagina 205 ne riporta una breve descrizione e, nella pagina successiva, fa riferimento a Michelangelo Bonadies «Reverendissimus Episcopus» che «ex solita sua caritate» si adoperò per mettere in salvo le religiose di Catania e per alleviare le sofferenze del popolo; quindi si descrivono vari episodi in cui si fa ricorso all’intervento delle Reliquie di Sant’Agata: «Die Mercurii [il mercoledì 13 marzo n.d.A.] educebantur Sanctissimus Velum S. Agathae à Reverendissimo Episcopo coronato spinis […] postea Mascalciam versus ibatur»; ed ancora, poche ore dopo: «portarunt illud [sanctissimus velum] in Matricem Musterblanci».
Non soltanto il famoso Velo fu portato molte volte contro il fiume di lava, ma anche le altre preziosissime reliquie custodite dal Clero catanese furono esposte, o portate in processione, nella speranza di arrestare la corrente di fuoco: il Santo Braccio della Vergine Agata (già il 12 marzo); il Santo Corpo (esposto il primo di aprile); il SS. Chiodo della Croce di Cristo (il 5 aprile); la Sacra Spina della corona di Gesù (il 9 aprile).
Tornando al Sacro Velo, Tommaso Tedeschi & Paternò (nel suo Breve Raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669) ci informa che dopo il 13 marzo, giorno in cui la reliquia fu portata in processione a Mascalucia e quindi a Misterbianco, il 14 fu condotta a Camporotondo e a San Pietro; il 7 aprile ancora una processione fino al Monastero dei Benedettini (la colata lavica aveva ormai raggiunto la periferia della città di Catania) ed il mercoledì 10 aprile fino alla Gurna di Nicito, ampia superficie acquitrinosa allora esistente a nord-ovest della città.

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