Chiamasi Luminaria quel tratto di strada piuttosto ampio, dai cinque ai seicento metri di lunghezza, che con dolce cura univa il Duomo, già nel sito attuale, alla porta di Aci o Stesicorea, poco discosta dalla piazza omonima. Era la principale arteria interna della vecchia Catania e quindi destinata a teatro delle grandi manifestazioni di fede e di gioia, Al far dell'alba cominciava ad addobbarsi come mai avveniva nelle più grandi solennità. Dappertutto pendevano drappi di seta ricamata, damaschi, arazzi, tessuti di argento e oro, il cui insieme estetico, era dovuto al genio moderatore di Alvaro Paternò. Notevoli i paramenti della Casa di credito, del Foro, del Monte di Pietà, del Palazzo del Vescovo, di quello del Duce, dell'Accademia Clarissima e del Castello. Dal Palazzo Senatorio, poi, pendevano le insegne dell'Elefante con Pallade armata di spada e scudo, simboli come Catania fosse allora ritenuta l'Atene sicula. Dalle finestre del Siculorum Gymnasium facevano bella mostra speciali apparati con iscrizioni storiche tra festoni d'edera e quercia: dal balcone centrale pendeva superbo un grandioso arazzo fregiato dagli stemmi di Catania e di Castiglia con iscrizione inneggiante al Magnifico Alfonso, il fondatore, morto quarantuno anni prima. Verso il vespro squadre di operai davano l'ultima mano per coprire di velluti e mussole, a coroni e frange d'oro e d'argento, i palchi per il Senato, per il Vescovo ed anche per il Giurì del torneo, delle giostre e dei giuochi, come si chiamavano allora le mascherate. Per le altre autorità, per le dame, per i gentiluomini e privati cittadini e per coloro che volevano avere posti, previo pagamento, erano destinati altri palchi situati ove arte e maestria lo permettevano. Piacque in quegli anni, all'inclito Alvaro di fissare alle ventun ora l'inizio degli spettacoli con la consueta sfilata delle maschere a piedi o a cavallo. Debbo accennare all'origine di questa singolare manifestazione profana, allora in auge, caduta via, via, in disuso, alla vigilia del 1693 e poi smessa del tutto. Nell’alto medioevo, circa il secolo X, venivano cantati da cori di donzelle e giovinetti inni in lode di S. Agata, con travestimenti rappresentanti angeli, vergini, martiri con gli maraviglia, pensa qualcuno, che dai travestimenti di quei giovanetti e donzelle possano derivare le maschere, che, con l'andar del tempo degenerarono, specie nel Cinquecento, in cui pur declinando I ‘Umanesimo, continuarono le preferenze per le allegre stranezze pagane, stranezze che toccarono l'apice nel XVII secolo ai tempi del Carrera, del Privitera, e del Guernieri.
Una seconda ipotesi, secondo me, più attendibile fa derivare le maschere direttamente dall'antichissimo culto di Cerere (Demetra, Iris, Proserpina). Pare che dagli antichi licenziosi sollazzi, più che festeggiamenti, in onore della dea Cerere derivi a Catania la consuetudine pazzesca delle mascherate durante i festeggiamenti di S. Agata. Di questo parere sono i nostri scrittori, Il Guarneri., infatti, scrive che le solennità del giorno tre non consistevano solo in quei profani divertimenti; si con-cedono eglino per poco tempo alla memoria della pompa antichissima de' Cereali, sin dal tempo de' Gentili tramandata in noi, nella quale, perché pur compariscono in ossequianza del Simulacro di Cerere le Donne e i Giovinetti inghirlandati, e vestiti in bianco conducendola a spalla, donde tradotta l'avevano; restò sempre insinuato né Catanesi Gentili quel sacrilego esempio, che venne poi coonestato dai Cristiani e applicato all'Ossequio della benedetta cittadina S. Agata. Il Carrera, il De Grossis e il Privitera, con differenti parole affermano lo stesso concetto. Quest'ultimo dice: Il festino della Santa ordinato e diguiso in più giorni nei quali si godono i trofei Cereali e dei Pali, col concorso immancabile del Popolo confluente da tutta la Sicilia, fu da Messer Alvaro Paternò Catanese, uno dei Patrizi Romani qual morì l'anno 1516 Di parere identico è il Ciaceri, il quale, nella sua erudita opera «Culti e Miti», fra l'altro, si domanda se nelle città di Sicilia e specialmente in Catania, dove il culto alessandrino fiorì maggiormente, non abbia preso il posto di Iside qualche santa cristiana e se nella festa di questa sia da rintracciare l'antica festa della dea egiziana.