La Festa di Sant'Agata

La Festa di Sant'Agata

Per quanto non s'abbiano notizie esatte sull'origine delle feste di S. Agata, si crede che esse risalgano a poco dopo il martirio. La presente descrizione di quelle nei vari secoli non vuol essere un'esposizione pura e semplice, ma un richiamo o meglio un accenno a quelle delle varie epoche, dalle modeste della Città medioevale cinta di mura, al disastro del 1169, e da quelle del 1510 col fercolo argenteo a quelle dopo il 1669, in cui le lave modificarono la riva del mare e la topografa cittadina, e ancora, a quelle differenti nella città odierna. Saranno messe in rilievo le più o meno lunghe soste nei festeggiamenti per pubbliche calamità e le varie riprese, il significato simbolico e commemorativo dell'offerta del Cereo, l’origine del Cereo stesso portato tra canti e suoni. Si vedrà il giro delle sante Reliquie nella città vecchia, che avveniva solo il giorno della vigilia (4 febbraio), e che fino al 1621 fu anche incompleto per l'impraticabilità della via della Marina. Sarà fatto cenno dei mutamenti nelle mura per comodità della vara, e come detto fino a quell’anno il fercolo argenteo veniva portato a spalla, e come tale entrava e usciva dal tempio privo com'era di lunette e di cordoni, le candelore non accompagnavano le Reliquie scortate solo dal Vescovo, dal Senato e dal popolo e allegre comitive di dame e donzelle dai vestiti simbolici, dai volti coperti, detti “babbalucchi”, e le moderne “intuppatedde”, da qualche tempo in disuso, ma che tutti ricordiamo. In una parola l'esposizione degli avvenimenti festivi sarà svolta in modo da destare la curiosità per le attrattive e le caratteristiche di ogni epoca, per soddisfare, per quanto sarà possibile, l'aspettativa del lettore. Non è stato possibile rintracciare con documentazione quando fu istituita la festa: il Carrera, il Privitera ed altri, con criteri secenteschi, accennano che il culto di S. Agata è tanto antico da risalire, nientemeno, a molti secoli prima dell'Incarnazione del Verbo, vale a dire a moltissimi secoli avanti la nascita della Santa e ciò per predizioni o veggenze di sibille, santi e profeti. Aggiungono che il popolo di Catania pagana recava in giro per le piazze e le strade la statua di una vergine col bambino simboleggiante la futura madre del Redentore, giro affermano, che fu un abbozzo della festa della Vergine e Martire Agata sua figlia, e discepola, qual come Erede delle pompe materne nella condotta per la Città di Catania. Annua si celebra la festa della Santa, portando in giro alla sua Patria il suo S. Corpo, fino da che fece ritorno da Constantinopoli, Angelica custodia continua nel suo Trionfo, circonda con la sua presenza, vigilando col seguito di tutto il Popolo, e confluenza copiosa di turisti, innamorando i cuori umani nei suoi gloriosi trofei. Una prova indiretta di ciò l'abbiamo nel fatto storico che nel pomeriggio del 4 febbraio 1169, mentre il popolo stava radunato nella Cattedrale per venerare le Reliquie della Concittadina, per l'avvenuto terremoto, rimase in gran parte sotto le macerie del tempio, si può dunque stabilire che il culto esterno di S. Agata col giro delle mura, non risale oltre l'anno sopradetto, giro che sin dall'origine si effettuò su un fercolo di legno scolpito e decorato, portato a spalla da numerosi fedeli scalzi, tale fercolo fu in uso sino al 1519 anno in cui ebbe solenne inaugurazione l'attuale fercolo, macchina cinquecentesca, argentea, filettata d'oro, architettata e cesellata dal rinomato mastro Vicenzo Archifel.

Si ha memoria del primo miracolo della Santa per aver salvato Catania dal fuoco dell'Etna un anno dopo la Sua morte e grandi furono la devozione, la fede, lo slancio del Popolo beneficato verso la Benefattrice. Per gratitudine fu istituita la festa di carattere puramente chiesastico, di cui si sconoscono la modalità, durata, senza dubbio, sino al 1040. Sospesa sino al 1126 per l'assenza delle Reliquie da Catania, venne poi ripresa con maggiore entusiasmo da che il buon Maurizio ebbe a restituirle alla sua amata patria Catania. Ignoriamo come venisse conservato il corpo di San Agata prima dell'attuale mezzo busto non solo per esposizione sull'altare, ma anche per il giro esterno su quel fercolo di legno poi venduto ad Alcara li Fusi. E’ sicuro che a partire da quell’anno (1378) S. Agata tra gli omaggi del popolo del Vescovo del Senato veniva portata a spalla da oltre quattrocento uomini circondati da una corona di portatori di torcioni accesi per voto. Uscito dalla chiesa per vie interne praticabili s’avviava per la Porta di Ferro, e fuori la città compiva la maggior parte del giro delle mura, per rientrare la sera per la porta dei Canali. Catania fu grata alla gran Martire ed al suo Velo, della liberazione, nel corso di quattordici secoli, da carestie, pestilenze, terremoti ed eruzioni dell'Etna. Se si toglie il citato parziale disastro (1669), risulta che Catania, sempre minacciata, non ebbe a soffrire danni dalle tredici grandi eruzioni dal lato di mezzogiorno che risalgono dall’anno suddetto, 1669, come ancora uscì miracolosamente immune dalla peste del 1743, che ebbe a decimare la popolazione di Messina. Il 1669 è una pagina di fuoco, che per trascorrere di secoli, non potrà mai spegnersi. Vagliando fatti storici, non posso né debbo occuparmi di prodigi e di miracoli della Santa e del suo Velo in quel frangente: tuttavia considerando il non breve percorso di quella lava dalle bocche eruttive (Monti Rossi) al lago di Anicito sopra Catania, lava che prendeva forza e vigore sempre nuovi, sempre freschi, non so frenare il mio stupore, la mia alta meraviglia nel pensare che, dopo aver coperto in poche ore il laghetto, la corrente minacciava direttamente la Città accelerata dal pronunciato pendio. Rintracciato il profilo della corrente lavica che ebbe ad ingolfarsi nell'abitato il martedì 30 aprile di quell'anno. Se si considera quel profilo si assicura che il fuoco guadagnò Piazza Dante dopo aver divorato chiese e casette, Via Teatro Greco Verginelle S. Barbara Lumicari ecc. e che la massa lavica imponente si arrestava su quella sommità tanto eminente, proprio quando giustamente si temeva Catania minacciata non solo, ma correva per la Sicilia e per il mondo la triste notizia che fosse già stata interamente sepolta. Il fato di Catania era segnato: libera dal fuoco, ma ridotta in cenere soli ventiquattr'anni dopo dall'orrendo cataclisma dell'undici gennaio 1693! Anche verso il ponente di Catania la lava ebbe a rispettare il bastione del Tindaro e quello di S. Giovanni, ammonticchiandosi in quei vortici di smisurata altezza che tuttora esistono presso l'attuale via Plebiscito per rispettare il suolo della Patria. Per lo stretto passaggio, poi, dai due ai trecento metri di larghezza, tra il Bastione di S. Giovanni e piazza Palestro, quella enorme montagna di fuoco scuoteva le mura occidentali di Catania, già tanto deboli, sfiorava la porta Decima, seppelliva i ruderi illustri della Naumachia, del Circo e del Ginnasio, superava i bastioni di S. Giorgio e di Santa Croce, colmava i fossati del Castello Ursino e per Gammazita, bussava alla porta del cuore di Catania, al Duomo, per la porta dei Canali, scaricandosi infine nel mare con quelle vaste profondità e proporzioni che ognuno nella sua Santa riconobbe la grazia di essere liberato. Per scongiurare la minacciata invasione della Patria la Cittadinanza invocava l'intercessione di S. Agata.

Per scongiurare la minacciata distruzione di Catania s’invocava l’intercessione di S. Agata con degli avvenimenti che andiamo ad elencare: Martedì 12 marzo. - Dal Duomo viene portato in processione il sacro Braccio di S. Agata all'estremo nord della Città, presso S. Domenico fuori le mura. Mercoledì 13 marzo. - Si va incontro al fuoco con il venerabile Velo taumaturgo recato da Mons. Bonadies sotto il baldacchino le cui aste venivano sorrette dai Senatori. Venerdì 14 marzo. - Si reca il Velo stesso contro il nutrito braccio di lava che direttamente minacciava Catania. Domenica 17 marzo. - D'ordine del Vescovo e del Senato venivano esposte sull'altare maggiore del Duomo la Statua con le Reliquie di S. Agata all'adorazione dei fedeli per invocarne la protezione. Martedì 19 marzo. - Si portava processionalmente il santo Velo a Misterbianco minacciata e poi coperta da quel braccio di lava di cui vediamo tuttora l'estrema punta a nord del nostro cimitero. Domenica 31 marzo. - Il braccio di S. Agata viene girato in chiesa e nella piazza del Duomo. Lunedì 1° aprile. - Accentuandosi la minaccia alle mura di Catania, il Senato, d'accordo col Vescovo, ordinava il giro delle Reliquie attorno alle mura del nord-ovest dalla porta di Aci a quella Naumachia. La processione fu imponente per quanto dolorosa, perché il clero e popolo erano in abito dimesso, di penitenza. Il baldacchino, al solito, era sorretto dai Senatori. Alla Calcarella vi fu un sermone e la benedizione v'assistevano oltre venti mila cittadini. Al bastione degl'Infetti, più esposto al fuoco, era stato eretto di fronte al Vulcano un altare ove si depose la statua della Santa. La predica, pronunciata da Dr. Cirillo Cassia, rimase celebre, anche per le lacrime che provocò. Gli esorcismi e le invocazioni del buon Bonadies commossero il popolo. Lungo le mura e i bastioni, la processione fece due soste, durante le quali, con la Santa sull’altare, sempre di fronte al fuoco, si impartiva la benedizione. All'ingresso in Città, per la porta Decima o Naumachia, la Santa venne salutata dal rombo dei cannoni del Castello e dei contigui bastioni di S. Giorgio e di Santa Croce Giovedì 11 aprile. Le Reliquie vennero esposte per la terza volta sull’altar maggiore del Duomo. Alle ore 21 delio stesso giorno esse furono recate per la seconda volta al bastione degli Infetti ancor più minacciato Lunedi 15 aprile. Per esser il fuoco essersi avvicinato presso le mura della Città, si mandarono le artiglierie fuori nei fondachi della Zia lisa. Si mandarono pure grandissima quantità di tavole, legni ed altri ordigni, per fabbricare delle abitazioni per i Cittadini, in caso che il fuoco entrasse nella Città. Furono anche costruiti baraccamenti adeguati per la custodia delle Reliquie di Sant'Agata. Martedì, 16 aprile. una colata di lava liquida si avviò verso i bastioni degl'Infetti, del Tindaro e di S. Giovanni e quindi verso il mare per porta Naumachia, risparmiando miracolosamente un tabernacolo con effigie di S. Agata presso Monserrato (oggi dove in memoria sorge la chiesa di S. Agata alle sciare). Mercoledì 17 aprile. Il Velo vien portato presso le bocche eruttive perché cessassero dalla loro attività,

Giovedì 18 aprile, -Per volere del Senato, il Velo si porta più accosto possibile alla grande bocca eruttiva. Assiste il tesoriere Don Giuseppe Cilestri; cento uomini d'armi sono di scorta contro ladri sacrileghi. Viene celebrata dal Cilestri la messa all'aperto, contemporaneamente al Duomo si esponevano le reliquie. Venerdì 19 aprile Stefano Reggio principe di Campofiorito, vicario generale del Viceré, con scorta d'armata, i presenti lo ricevono ostilmente perché corre voce che voglia portare a Palermo le Reliquie di S. Agata, appianato l'equivoco, il Senato e il Vescovo deliberano di trasferire le dette Reliquie a Ognina dove già erano le artiglierie e le campane. Poiché eran state coperte dal fuoco tutte le strade per le quali dalle Città, paesi e poderi mediterranei del Regno si veniva a Catania per tenere vivo il commercio e provvedere la Città di viveri, il Vicario dispose la costruzione di due pontili sporgenti in mare per l'approdo delle barche mercantili: una alla Plaja a sud della corrente lavica e l'altro in Ognina a nord della corrente stessa. Ma non potendo essi a lungo servire per i guasti delle mareggiate, Il Villallegra disponeva sulle lave ancora fumanti e nel sito più stretto l'immediata apertura di una mulattiera tra la Consolazione e Zia Lisa vale a dire ubicata, a un dipresso come l'attuale via Fortino vecchio. Sabato Santo 20 aprile. Viene recato mestamente il Velo presso la porla Naumachia assai minacciata. Mercoledì, 24 aprile. - La lava si versa nel mare e col braccio sinistro minaccia la porta dei Canali vicino al Duomo. Vennero apposti ripari: fermatasi la lava, il popolo inneggia a S. Agata Martedì 30 aprile. - Giorno funesto, perché dalle viscere della corrente, che sembrava assopita, nel tratto tra i bastioni del Tindaro e degli Infetti, venne a sgorgare nuovo torrente di lava, la quale sorpassate le mura dei Benedettini, a ore 15 invase il Monastero e la Chiesa e la contrada del Corso. l Vicario, il Senato e il Vescovo opposero ripari e la corrente dopo avere distrutto case e chiese, fermatasi nei pressi senza recare danno alla gran massa della sottoposta Città. Fu allora inneggiato al miracolo! Sabato, 18 maggio. - Fu cantato nel Duomo solenne Te Deum in ringraziamento alla Santa. Domenica, 24 maggio, Il popolo in massa rende grazie a S. Agata, esposta sull'altare maggiore, delia liberazione della Patria e il principe di Campofiorito decreta la lampada d'argento da rimanere perpetuamente acceso presso il sacello di S. Agata Lunedì,9 giugno. - Altra emissione di lava liquida veniva a colmare i fossati del Castello, costringendo il Castellano, la famiglia e la guarnigione a rifugiarsi nella torre di Don Lorenzo Gioeni.

Risulta che sino al marzo del 1669 la vecchia strada fuori le mura esisteva stretta e poco agevole sotto i terrapieni di queste e dei bastioni, dei quali seguiva quasi esattamente le linee sinuose. Qualche volta subiva delle modifiche, che a stento il fercolo poteva passare e specialmente dopo la metà del XVI secolo, quando Don Giovanni Vega, accudiva con vivo ardore a rendere solide e più razionali le mura e a ricostruire dalle fondamenta formidabili bastioni. Ma siccome il sentiero seguiva in certo qual modo il vecchio tracciato della circonvallazione che si trovava, com'è stato detto attorno alle fortezze coperte dalla lava, con larghezza di vedute si volle eliminare qualsiasi angolosità e tracciare, per quanto fosse possibile lunghi tratti di strada non solo amplissimi, ma anche. rettilinei. Già nel 1672 era stata tracciata sulla lava, la strada del Serraglio vecchio, che in quell'epoca era una spaziosa passeggiata sulla Marina, senza precedenti, si pensò dunque di dare, perpendicolarmente a questa, il più sontuoso sbocco al mare alla nuova circonvallazione che sarebbe stato ancheggiato da due superbi palazzi da erigersi dopo. Da qui, dunque, si volle iniziare il primo tratto rettilineo che si spinge sino al recinto del Castello, e precisamente nel sito, in cui prima che le lave l'avessero divorato esisteva il bastione di S. Giorgio (Angelo Custode). Da tale sito la strada, piegando ad angolo quasi retto, è diretta verso nord-ovest per lunghissimo tratto, in dolce curva saliente; lasciava e lascia tuttavia entro cinta il bastione di S. Giovanni. Più su, sempre in salita piegando verso il nord, la strada, rettilinea mente si spinge a tagliar una piccola parte dello spigolo sporgente fuori del baluardo del Tindaro o dell'Arcora che dir si voglia, (Cappuccini Nuovi, via del Tindaro). Da questo punto, quasi ad angolo dritto, la strada piega a levante, in discesa, seguendo all'esterno l'ubicazione delle sepolte muraglie dei Benedettini sino all'ambito del bastione degli Infetti, incompiutamente elevato anche esso dal Vega nel 1557. Indi altro tratto volge a mezzogiorno quasi parallelo alle vecchie muraglie (via Antico Corso e giardino della Purità) e va ad allacciarsi alla larga arteria non toccata dal fuoco e detta Via Androne). Toccava perciò la rinomata chiesa di S. Agata la Vetere, e poi per la discesa di S. Domenico fuori le mura si collegava col piano della Porta di Aci. L’importantissima arteria così progettata. degna dei nostri tempi, tant'è vero che anche oggi l'ammiriamo, era destinata per il giro esterno di S. Agata, e il popolo soleva chiamarla la strada del giro ma il Senato d'allora, auspice D. Girolamo Asmundo, patrizio, in omaggio all'invitta Concittadina, volle intitolarla (strada della Vittoria) per significare il di Lei trionfo sulle lave infuocate che risparmiarono quasi tutta la città dal sicuro flagello. Dal bastione del Tindaro in poi si volle conservare la vecchia denominazione di strada della Botte dell'Acqua in omaggio al ricordo storico che si riferiva all'antichissimo Acquedotto greco e al Collettore che distribuiva le abbondanti acque di Valcorrente alla Naumachia, al Teatro e all'Odeon, all'Anfiteatro, alle varie Terme e per uso privato. Per solenne ricordo venne affissa nella casa Purpura e oggi in quella Alonzo e Consoli una ricca lapide. Essa fra ornamenti barocchi porta ai lati le insegne della Città e dal mezzo s'eleva sbalzante dalla cornice un grazioso mezzo busto di marmo rappresentante la trionfatrice Eroina che spinge in alto lo sguardo protezionale sulla sua Catania.

Processione simbolica commemorativa per l'offerta del cereo, allietata da spettacoli cavallereschi nel giorno 3 febbraio secolo XVI

Chiamasi Luminaria quel tratto di strada piuttosto ampio, dai cinque ai seicento metri di lunghezza, che con dolce cura univa il Duomo, già nel sito attuale, alla porta di Aci o Stesicorea, poco discosta dalla piazza omonima. Era la principale arteria interna della vecchia Catania e quindi destinata a teatro delle grandi manifestazioni di fede e di gioia, Al far dell'alba cominciava ad addobbarsi come mai avveniva nelle più grandi solennità. Dappertutto pendevano drappi di seta ricamata, damaschi, arazzi, tessuti di argento e oro, il cui insieme estetico, era dovuto al genio moderatore di Alvaro Paternò. Notevoli i paramenti della Casa di credito, del Foro, del Monte di Pietà, del Palazzo del Vescovo, di quello del Duce, dell'Accademia Clarissima e del Castello. Dal Palazzo Senatorio, poi, pendevano le insegne dell'Elefante con Pallade armata di spada e scudo, simboli come Catania fosse allora ritenuta l'Atene sicula. Dalle finestre del Siculorum Gymnasium facevano bella mostra speciali apparati con iscrizioni storiche tra festoni d'edera e quercia: dal balcone centrale pendeva superbo un grandioso arazzo fregiato dagli stemmi di Catania e di Castiglia con iscrizione inneggiante al Magnifico Alfonso, il fondatore, morto quarantuno anni prima. Verso il vespro squadre di operai davano l'ultima mano per coprire di velluti e mussole, a coroni e frange d'oro e d'argento, i palchi per il Senato, per il Vescovo ed anche per il Giurì del torneo, delle giostre e dei giuochi, come si chiamavano allora le mascherate. Per le altre autorità, per le dame, per i gentiluomini e privati cittadini e per coloro che volevano avere posti, previo pagamento, erano destinati altri palchi situati ove arte e maestria lo permettevano. Piacque in quegli anni, all'inclito Alvaro di fissare alle ventun ora l'inizio degli spettacoli con la consueta sfilata delle maschere a piedi o a cavallo. Debbo accennare all'origine di questa singolare manifestazione profana, allora in auge, caduta via, via, in disuso, alla vigilia del 1693 e poi smessa del tutto. Nell’alto medioevo, circa il secolo X, venivano cantati da cori di donzelle e giovinetti inni in lode di S. Agata, con travestimenti rappresentanti angeli, vergini, martiri con gli maraviglia, pensa qualcuno, che dai travestimenti di quei giovanetti e donzelle possano derivare le maschere, che, con l'andar del tempo degenerarono, specie nel Cinquecento, in cui pur declinando I ‘Umanesimo, continuarono le preferenze per le allegre stranezze pagane, stranezze che toccarono l'apice nel XVII secolo ai tempi del Carrera, del Privitera, e del Guernieri. Una seconda ipotesi, secondo me, più attendibile fa derivare le maschere direttamente dall'antichissimo culto di Cerere (Demetra, Iris, Proserpina). Pare che dagli antichi licenziosi sollazzi, più che festeggiamenti, in onore della dea Cerere derivi a Catania la consuetudine pazzesca delle mascherate durante i festeggiamenti di S. Agata. Di questo parere sono i nostri scrittori, Il Guarneri., infatti, scrive che le solennità del giorno tre non consistevano solo in quei profani divertimenti; si con-cedono eglino per poco tempo alla memoria della pompa antichissima de' Cereali, sin dal tempo de' Gentili tramandata in noi, nella quale, perché pur compariscono in ossequianza del Simulacro di Cerere le Donne e i Giovinetti inghirlandati, e vestiti in bianco conducendola a spalla, donde tradotta l'avevano; restò sempre insinuato né Catanesi Gentili quel sacrilego esempio, che venne poi coonestato dai Cristiani e applicato all'Ossequio della benedetta cittadina S. Agata. Il Carrera, il De Grossis e il Privitera, con differenti parole affermano lo stesso concetto. Quest'ultimo dice: Il festino della Santa ordinato e diguiso in più giorni nei quali si godono i trofei Cereali e dei Pali, col concorso immancabile del Popolo confluente da tutta la Sicilia, fu da Messer Alvaro Paternò Catanese, uno dei Patrizi Romani qual morì l'anno 1516 Di parere identico è il Ciaceri, il quale, nella sua erudita opera «Culti e Miti», fra l'altro, si domanda se nelle città di Sicilia e specialmente in Catania, dove il culto alessandrino fiorì maggiormente, non abbia preso il posto di Iside qualche santa cristiana e se nella festa di questa sia da rintracciare l'antica festa della dea egiziana.

Alle maschere sparite d'incanto al nuovo squillare di sonore trombe subentravano le carriere de' Cavalieri col Duce (combattimenti equestri, tornei) che si spingono in prova ad armeggiar le lance, scagliandosi con mosse fulminee per frangerle o sul piano a mezza carriera o sullo scudo del Saraceno ruotante (specie di bersaglio mobile). Gli spettatori tengono sopra di essi fermo lo guardo per giudicare della loro bravura e della intelligenza dei cavalli, del coraggio e della resistenza del braccio, della bontà delle armi, della fulmineità nel parare i colpi e della simultaneità del contrattacco per restar vincitori e, finalmente, della disinvoltura cavalleresca nel congedar l'avversario...E ‘singolare, se non del tutto strano, che tanto le mascherate, quanto i combattimenti e le altre piacevolezze piccanti, destassero, a più riprese, la piena approvazione, la compiacenza, anzi l'applauso del buon Vescovo. Erano i tempi che esigevano ciò! Non desta meraviglia, invece, il plauso delle dame più in vista, i cui mariti o amanti erano impegnati nella lizza e meno ancora quello del solerte Don Alvaro che assisteva austero qual presidente del Giurì i cui responsi erano inappellabili! Un continuato sparo di mortaretti poneva fine ai combattimenti. Erano già le ventidue: ora che Don Alvaro aveva fissato per l'inizio della simbolica processione per l'offerta della cera nel maggior tempio della invitta Eroina, cerimonia istituita dopo il 1126 in memoria della scena notturna assai commovente che si svolse al momento in cui il buon Maurizio avvertiva il popolo del solenne arrivo delle Reliquie. Quella notte i catanesi non dormirono tutti intenti ad accompagnare nel Duomo il Santo Pegno con ingresso per la porta di Aci, e appunto per rievocare tale ingresso fu stabilito che la processione entrasse in Città per la porta di Aci.

Recatisi le autorità col popolo dalla Luminaria, fuori in tal sito o a cavallo o a piedi, il vescovo e le dame in berline, si ordinava il corteo interminabile. Lo Studio catanese non aveva candelora, ma quegli scolari riottosi, strillanti, capiscarichi come sempre lepidi e motteggiatori, prendevano parte a quella famosa processione circondando il Rettor Magnifico, togato e ossequiato, del mazziere con candela in mano da offrire alla Santa. Le autorità i pubblici ufficiali seguivano il corteo interminabile. Vi erano: il Senato col Patrizio, i Maestri delle professioni, gli Acatapani i Credenzieri delle pelli, altri due Acatapani (di grado superiore ai precedenti) i due giudici Minori del Magistrato, il Notaro della Corte dei Senatori (segretario), il Procuratore del Senato il Custode dei libri Patrimoniali, I ‘Archivista Custode degli Annali, il Contro-scrittore dei mandati delle spese (censore) col segretario, quattro Giudici interpreti delle leggi. Seguivano gli stendardi della Città e quello Reale, quindi rincalchi con tamburi, i Prefetti delle vigilie della notte, i Pavonazzi con lo stemma dell'elefante, preceduti dal Banditore togato con spada e verga dorati, i Portieri con le mazze (uscieri), il Sindaco, il Mastro Notaro del Bussolo (segretario delle elezioni) tutti con torcetta spenta in mano da recare all'altare e offrire alla Santa nella Cattedrale. Al tramontar del sole, la processione aveva termine, man mano che i partecipanti ad essa raggiungevano l'interno del Duomo e deponevano le candele. Anche i palchi della via Luminaria si sfollavano lentamente dalle dame, dai cavalieri e dal popolo e nelle strade veniva meno la ressa perché approssimandosi l'ora del desinare, chi a piedi e chi in carrozza, guadagnavano palazzi e abitudini. Frattanto col calare della notte il fosforescente effetto della luminaria attirava ancora gran gente, specie nei siti eminenti da dove la visuale era piena. Si usava allora illuminare con candelotti di sego entro coppetti trasparenti multicolori le porte e i cornicioni dei palazzi e delle case, i frontoni, le cupole, i timpani e le cuspidi delle chiese, i prospetti dei monasteri e persino il piano delle strade in pendenza, con bellissimi disegni di effetto pittorico, smagliante, sul fondo nero del suolo. Frattanto, prima della mezzanotte ogni spettacolo aveva fine con nei volti di tutti dipinta l'ansia e la speranza di poter ammirare dopo poche ore, col sol novello, le desiate sembianze della Martire invitta. La «Condotta », ovvero il giro delle venerate Reliquie fuori le mura si effettua incompleto dalla porta del Ferro a quella dei Canali. La luminaria della sera de tre affievolitasi languidamente per spegnersi del tutto prima della mezzanotte, in tale ora lo sparo di una enorme bombarda avvisava il popolo sonnolente dell'inizio del festino del giorno quattro, cioè del giorno stesso e conosciuto col titolo di Condotta della Santa. Non appena spalancate le porte del tempio, la gente comincia ad affluire, chi pregando, chi in religioso silenzio, e così pian piano il sacro luogo esaurisce i suoi spazi.

error: Content is protected !!