Curiosità
La Tavola
Fin dalla sua origine la tavola si conserva a Cremona presso la chiesa di Sant'Agata. Essendo Sant'Agata ritenuta protettrice contro gli incendi, per secoli l'opera veniva esposta davati agli incendi che si verificavano in città e il 5 febbraio, in occasione della festa della santa, veniva portata in processione nelle vie del centro storico. L'opera è costituita da un'unica tavola lignea dipinta su entrambe le facce e dotata di due piedi di sostegno inseriti nella base d'appoggio. Da un lato sono raffigurate le storie di sant'Agata divise in quattro registri sovrapposti e dall'altro la Madonna col Bambino sovrastata dalla Pentecoste, inserite in una cornice dorata ad archetti, delimitata all'esterno da una bordura lignea laccata di rosso. Il recente restauro, condotto da Chiara Ceriotti, ha permesso di verificare che la tavola non aveva funzione di reliquiario, come invece si riteneva sulla base di una tradizione secondo la quale, al suo interno, si sarebbe conservata la tavoletta marmorea posta da un angelo dietro la testa di Agata al momento del suo seppellimento. Le indagini radiografiche eseguite nel 1977 e nel 2011 hanno evidenziato all'interno della tavola un dischetto biancastro del diametro di circa 2,35 cm ubicato al di sopra della testa di sant'Agata nella scena del suo incontro con l'apostolo Pietro e, sul fronte opposto, nella Pentecoste in corrispondenza della parte inferiore della veste di un apostolo. Già era stata avanzata l'ipotesi che tale disco, rilevato dalle radiografie, potesse corrispondere ad una reliquia introdotta in epoca imprecisata all'interno della tavola. L'ispezione effettuata durante l'ultimo restauro ha invece appurato che in tale punto non si nascondeva alcun corpo da potersi rapportare ad una reliquia. Scavando si è infatti riscontrato che l'interno della tavola era interessato da un'otturazione costituita da un tappo di legno fissato con dello stucco. Il corpuscolo della lunghezza di circa 2 mm, ritrovato entro la stuccatura in gesso, è da identificarsi con un frammento di smalto inglobato in modo accidentale nell'amalgama gessoso che fissava il tappo di chiusura. Le analisi, effettuate grazie all'interessamento del delegato diocesano d'Arte Sacra mons. Achille Bonazzi, hanno rivelato che il frammento sarebbe formato da quattro strati successivi di stucco, rame, gesso e vetro inglobante elementi ferrosi. La cavità doveva essere stata aperta con una piccola trivella al fine di appurare la presenza della lastra marmorea. Quando sia stata eseguita la trivellatura, non ci è dato di sapere, anche se non è da escludersi che possa riferirsi all'epoca dei vescovi Offredi o Novasconi (Rodella 2013). Diverso il parere di Achille Bonazzi che ritiene possibile che la tavola potesse fungere anche da reliquiario (comunicazione orale). Intorno al possibile autore il dibattito è stato sempre molto acceso: Salmi, Longhi, Toesca, Bologna, Ragghianti e altri hanno individuato nelle scene della tavola le influenze delle maggiori correnti e degli artisti attivi in Italia tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, delineando il profilo di un artista ancorato alla tradizione bizantina, ma, aperto alle tendenze più innovative del momento sia in campo pittorico (Cimabue e Duccio) sia nell'ambito della miniatura (Epistolario di Giovanni da Gaibana). L'autore potrebbe quindi essere identificato in un miniatore, vista la grande libertà narrativa, l'elaborazione grafica minuziosa e marcata e gli impasti cromatici intensi e luminosi. La datazione inizialmente collocata negli ultimi decenni del Duecento è poi slittata ai primi decenni del Trecento (Toesca, Goi, Piva, Voltini). La tavola è attualmente esposta protetta da un clima box per ragioni di conservazione e sicurezza, dopo che il 31 gennaio 2011 era stata rubata parte della cornice barocca a fogliami che la racchiudeva.