I reliquiari che custodiscono i femori, le mani, i piedi e una mammella di sant'Agata,
appartengono alla categoria di quelli antropomorfi, cioè modellati secondo la forma dell'arto
contenuto. Il sacro velo della Martire, invece, è conservato in un reliquiario a fiala.
A causa della mancanza di fonti documentarie dirette, le poche e incerte notizie che si
hanno su queste opere non aiutano, purtroppo, a individuarne l'autore o almeno la bottega
orafa che li produsse. Perciò in passato sono state fatte diverse ipotesi sulla loro
datazione, anche se non del tutto convincenti. È largamente condivisibile, invece, la
congettura di un'esperta di argenti e ori siciliani, autrice di ricerche fondamentali ancora di
grande attualità, secondo la quale la realizzazione dei primi reliquiari della Santa fu
affidata probabilmente ad orafi locali a partire dalla fine del Trecento, considerata
l'esistenza a Catania nei primi del XV secolo di un Consolato degli Argentieri nobilmente e
severamente costituito.
È verosimile, peraltro, che questi artisti si ispirassero al capolavoro
di Giovanni di Bartolo, per imitarne i motivi decorativi e le tecniche di lavorazione.
Comunque, è certo che queste custodie non videro la luce tutte nello stesso periodo;
l'analisi stilistica dell'ornato, infatti rivela caratteristiche decorative da attribuirsi a secoli e a
maestri argentieri diversi. I più antichi di questi manufatti, preziosi specialmente agli occhi dei fedeli, sono
sicuramente i due reliquiari a femore, realizzati quasi certamente tra la fine del Trecento e
i primi decenni del secolo successivo, poco dopo la creazione del reliquiario a busto nel
1376, queste due custodie dei sacri resti hanno entrambe forma cilindrica con una
decorazione molto simile, fatta di incisi ornati floreali, girali e tralci, su un fondo in argento
dorato puntinato e sabbiato. Alle estremità e al centro dei due reliquiari, che evidenziano
soltanto alcune lievi differenze, sono inseriti fregi riproducenti un'elegante trina applicata
come finimento. La prima opera esibisce una decorazione costituita da girali con fiori incisi
o sbalzati simile a quella che Giovanni di Bartolo scelse per arricchire il reliquiario a busto,
essa è caratterizzata da tre fasce verticali (una al centro e due laterali), sulle quali
compare la nota epigrafe Agatina (Mentem Sanctam ...). La fascia centrale è interrotta da
due placchette smaltate rettangolari: su quella posta in alto è raffigurato lo stemma di
Catania (l'elefante con la proboscide in su); sull'altra in basso, che fa anche da sportellino
per rendere visibile la reliquia, è incisa la figura (ormai totalmente priva degli smalti) della
Santa avvolta nel suo velo.
Uno sbalzo profondo del cilindro imita la forma della rotula. Il
secondo reliquiario è caratterizzato da un decoro di maggiore rilievo, più vistoso di quello
simile appena descritto: infatti accanto ai fiori, alle foglie e alle volute si vedono anche
uccelli e cerbiatti. In questo sfondo così animato, due formelle smaltate raffigurano
sant'Agata assisa che regge un libro e la croce, lo stemma di Catania (l'elefante con la
proboscide in giù sormontato dalla lettera A), che in seguito divenne anche il marchio del
Consolato degli Argentieri di Catania. L'uso di un'ornamentazione più mossa e di gusto
narrativo, tipica delle arti decorative ispano-arabe, fa pensare per questo a una datazione
che potrebbe risalire ai primi decenni del XV secolo. I due reliquiari a gamba realizzati in
argento dorato, presentano una superficie liscia priva di decorazioni; uno di questi, di
probabile fattura quattrocentesca, sulla parte a forma di piede reca lungo una sorta di
legaccio la scritta Mentem Sanctam. Anche i due reliquiari a braccio più particolari dei
precedenti sono probabilmente quattrocenteschi; essi riproducono le braccia della Santa
con le mani aperte, una delle quali regge una palma simbolo del martirio.
La base
realizzata in argento è modellata in entrambi come la manica di una morbida tunica, da cui
fuoriesce una veste riccamente decorata con motivi a fogliame e tralci. Il lavoro d'oreficeria
sul braccio è molto elegante e minuzioso, testimonianza dell'alto livello raggiunto dai
maestri siciliani del Quattro e Cinquecento, che riprendono e riproducono con finezza i
motivi e le tecniche decorative delle preziose stoffe del tempo. Un Inventario del 1487 cita
tra le “ioy di la gloriusa Vergini et martira madonna Sancta Agatha” un reliquiario a braccio
con le dita delle mani inanellate. I reliquiari elencati prima, insieme ad altri oggi non
facilmente identificabili, continuano ad essere descritti solamente negli Inventari redatti
negli anni 1490, 1556 e 1625. Più articolata è la composizione del reliquiario a ostensorio
di una mammella della Santa vergine catanese, su una base circolare si innesta un piccolo
fusto con collarini, su cui poggia un elegante nodo a vaso decorato con cherubini a rilievo.
Dal nodo si dipartono due cornucopie che sorreggono altrettante figure femminili in posa
aggraziata, le quali flettendo la gamba destra e sollevando un braccio, sostengono la
grande teca di cristallo raggiata che mostra la reliquia. L’intera opera, realizzata in argento
con parti dorate, è lavorata a cesello ed è ricca di motivi fitomorfi, girali e cherubini a
rilievo. Il reliquiario è probabilmente quello descritto in una nota dell'Inventario del 1625
dove si legge che il 12 agosto del 1626 il vescovo di Catania Innocenzo Massimo fece
venire da Milano una mammella di cristallo e a sue spese vi fece la serratura e orlo di oro,
e un piede d’argento lavorato con due Angeli d’argento che sostengono la mammella. Il
reliquiario a fiala del velo di sant’Agata è indubbiamente quello che più di tutti gli altri ha
avuto nel corso dei secoli un ruolo speciale in molti avvenimenti legati alle disastrose
eruzioni dell'Etna. A sezione triangolare, questo reliquiario poggia su una base gradinata
trapezoidale decorata da specchiature, ed è chiuso da un coperchio sormontato da un
elegante angioletto. Sebbene di fattura più recente di quelli descritti prima, anche
dell'attuale reliquiario del velo mancano documenti che ne attestino l'anno di esecuzione e
il maestro argentiere che lo fece. Gioacchino Basile afferma con certezza in un suo scritto
che esso fu realizzato per volere dell'arcivescovo Giuseppe Francica Nava (1895-1928) su
disegno di Salvatore Sciuto Patti, tuttavia, un documento confermerebbe la creazione della
custodia del venerato velo della Martire nel 1926, finora non è stato trovato nell'Archivio
Arcivescovile.
Tutti i reliquiari sono attualmente conservati nello scrigno, che insieme al reliquiario a
busto è custodito nel sacello di sant'Agata