Lo Scrigno

Lo Scrigno

Il prezioso scrigno che conserva i reliquiari dei sacri resti della martire Agata, è un'opera di alta oreficeria, che con la sua forma ricca di cuspidi e di guglie si presenta simbolicamente come una splendida cattedrale in miniatura, immagine della Gerusalemme celeste fondata sui dodici apostoli dell'Agnello e abitata dai Santi eredi della salvezza eterna, raffigurati entro nicchie seduti su troni. La cassa dello scrigno a base poligonale è sormontata da un coperchio a falde spioventi, il cui profilo ripete la stessa linea dell’orlo della base. L'originalità di quest'arca consiste nella sua ricca decorazione esterna, la quale ricopre per intero la lamina d'argento dorato che ne riveste l'anima lignea.

Un ricco apparato ornamentale in stile gotico fiorito lavorato in argento filigranato riproduce venti pilastrini a base triangolare, che formano venti nicchie entro le quali sono allocate statuette in argento massiccio, sormontate da un baldacchino trapezoidale che si conclude al sommo con uno o più pinnacoli. Un attento studioso locale descrive questa sezione del corpo della cassa usando termini ridondanti ma suggestivi: Una folla di baldacchini, pinnacoli, torricelle traforate da monofore, bifore, trifore, tetrafore, archi romanici, a carena di nave, intrecciati, bilobati e trilobati, pilastrini, colonnine, spesso pensili anche a dispetto della statica, che sporgono, si sovrappongono, si affollano in episodi architettonici framezzati a merletti, girandole, rose, ruote, intrecci che si annodano e snodano, e poi statue, composizioni, rilievi, un'orgia affascinante di disegni, un sollazzo degli occhi che sbalordisce con fastoso e superbo effetto di assieme.
Lo zoccolo della cassa è ricoperto da una decorazione a traforo che imita un elegante merletto lavorato a fuselli; il perimetro superiore invece è concluso con un raffinato intreccio di foglie d'alloro, virtuosismo di un esperto cesellatore. Venti piccole sfere ornano questo cordone di foglie e sembrano concludere i pilastrini sottostanti. Troviamo invece, nei due lati maggiori le statuette poste nelle nicchie descritte sopra, che raffigurano i dodici apostoli, che recano in mano ciascuno il proprio attributo iconografico, fra cui un libro.
Tra gli apostoli sono collocati su lati opposti, San Sebastiano raffigurato nudo trafitto di frecce e San Girolamo seduto in cattedra: un segno di particolare devozione al Martire militare e all'insigne traduttore delle sacre Scritture. Nei quattro scomparti angolari, raffigurati con le loro insegne tipiche (mitra e croce pettorale), sono sistemati i santi Leone, Berillo, Everio e Severino, che secondo la tradizione furono vescovi di Catania nei primi secoli. Infine, negli scomparti centrali sono riposti due gruppi scultorei: su una faccia sono raffigurati Il Cristo e la Madonna che incoronano Sant'Agata; sull'altra Sant'Agata assisa insieme con una figura togata in ginocchio (forse un personaggio locale) II coperchio dello scrigno è di fattura alquanto diversa rispetto alla cassa. Le due falde spioventi, anch'esse divise in quattordici scomparti, ripetono la
partizione delle nicchie sottostanti, ma l'apparato decorativo e la lavorazione del metallo non hanno sicuramente la finezza del ricco decoro della cassa. Il coperchio presenta un ornato a sbalzo con raffigurazioni delle sante: Lucia, Cristina, Barbara, Margherita, Chiara, Apollonia, Tecla, Orsola, Maria Egiziaca, Caterina, Cecilia, Scolastica, Brigida, Digna e Merita (due in una), ciascuna identificata da una scritta. La decorazione dello scrigno è completata da venti graziosi angioletti a tutto tondo, posti ai lati e raffigurati a schiera.
Mancano purtroppo notizie dirette precise sull'autore e sulla datazione dello scrigno, tuttavia dall'analisi dell'ornato, dalla lettura delle poche fonti rinvenute e dallo studio dei diversi punzoni impressi sulla superficie della cassa, è possibile trarre alcune conclusioni. Il marchio dell'elefante sormontato dalla lettera A, visibile alcune volte da solo altre con la sigla CAT ,fu il primo utilizzato nelle botteghe degli argentieri di Catania dal 1470 fino a tutto il XVI secolo. Un secondo gruppo di marchi si rileva sulle guglie degli archi ogivali, dove si legge: BBR 1741, SBRI 1741, BALE 1741 e F. Bianco M.1888. Nessun punzone finora è stato individuato sul coperchio, ma nelle due placche
disposte sui lati corti si legge l'iscrizione: «In nomine Jesu omne genu flectatur 1579. Nonostante la dispersione di gran parte delle fonti archivistiche sul tesoro di sant'Agata, in molti degli Inventari superstiti viene citata I ‘Opera dello Scrigno”. Per le preziose notizie che fornisce è sicuramente interessante anche l'atto di una cospicua donazione' fatta da Alvaro Paternò proprio all'Opera, purché la decorazione del lato anteriore della cassa reliquiario (che avrebbe dovuto riportare le insegne del munifico donatore) venisse realizzata esclusivamente da «Vincentius Archifell argentarius et non magistrum alterius»*.

Questi documenti provano che l'Archifel tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento spesso presenziava alla redazione dei vari inventari del tesoro di sant'Agata, probabilmente perché aveva assunto un ruolo di spicco nella Corporazione degli Argentieri di Catania. Egli, infatti, oltre al preziosissimo collare che cinge le spalle di sant'Agata nel reliquiario a busto, è autore di altre opere di argenteria di grande pregio, fra le quali una croce che si trova nella chiesa Madre di Assoro. Dall'Inventario del 1490 si apprende che per completare la realizzazione dello scrigno fu necessario prelevare alcuni gioielli donati alla Santa. Quindi nel dicembre del 1492 al maestro Filippo di Mauro, che viene nominato nella《Donazione Paternò》 del 1486, veniva consegnato dell ‘argento per «lu scrigno di la Beata Agatha.» Dunque, si può ragionevolmente supporre che la cassa reliquiario fu creata probabilmente tra la seconda metà del XV e la prima metà del XVI secolo in due momenti successivi. L'opera comunque fu iniziata sicuramente tra il 1473, anno della fondazione dell'Opera dello Scrigno (che si rese necessaria per raccogliere le offerte destinate alla realizzazione del prezioso contenitore) e il 1486; le rifiniture probabilmente proseguirono tra il 1490 e il 1492.

 Il coperchio sembra che fu realizzato tra il 1556 anno dell'ultimo inventario citato, e il 1579 data riportata nell'iscrizione leggibile sui lati corti del coperchio (In nomine Jesu omne genu flectatur 1579). Tre secoli più tardi, cioè intorno al 1741, lo scrigno fu restaurato ad opera di alcuni argentieri catanesi, che rifecero parte dei pilastrini e le decorazioni degli archi ogivali della parte alta della cassa. Infine, nel 1888 l'orafo catanese Francesco Bianco Motta ripulì l'intera decorazione della cassa e reintegrò alcuni pezzi piccoli, che nel tempo avevano subito un certo deterioramento.
Per quanto riguarda gli autori è da notare che probabilmente parteciparono alla lavorazione dell'arca quei maestri più volte menzionati negli Inventari del tesoro di sant'Agata redatti negli ultimi tre decenni del Quattro e i primi del Cinquecento; artisti che si riscontrano di frequente negli elenchi della Corporazione degli Argentieri catanesi. Si tratta di Antonio la Nuara e Nicola Lattari in un primo tempo1; certamente Vincenzo Archifel, che lavorò allo scrigno dal 1486 al 1520 circa; Filippo di Mauro suo contemporaneo; infine, Paolo Guarna e sembra anche Antonio Archifel (figlio di Vincenzo), che si sarebbe dedicato alla realizzazione di quest'opera intorno agli anni trenta del XVI secolo. È comunque certo che alla realizzazione dello scrigno parteciparono vari artisti di diversa capacità: da un lato gli argentieri che eseguirono le statue degli apostoli ,fisse e spente espressioni di echi ritardatari del gotico fiorito; dall'altro l'autore del gruppo dell'Incoronazione di sant'Agata, esempio di una maturità rinascimentale che rimanda per motivi stilistici agli artisti attivi nella cappella della Santa martire catanese. Fra questi vanno menzionati particolarmente Antonello Freri autore del Monumento funebre del viceré Ferdinando de Acuña e l'anonimo autore degli affreschi parietali del sacello di sant'Agata". L'unico tra gli argentieri noti attivi a Catania in quegli anni, in grado di trarre ispirazione da quel linguaggio formale già rinascimentale, potrebbe essere stato proprio quel Vincenzo Archifel al quale, nel 1486, Alvaro Paternò Castello teneva tanto fosse affidata la realizzazione
dei "fachi davanti" della cassa, pena la ritrattazione della donazione stessa.

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